Dicembre, tempo di flop: si vota il Calciobidone 2020!
Arriva la dodicesima Edizione del sondaggio nemesi del Pallone d’Oro. Nella Flop Ten un incredibile equilibrio con una coppia a testa per Juve, Milan, Inter, Roma e Napoli
E’, ormai da anni, l’anti-Pallone d’Oro per eccellenza: da dodici anni il Calciobidone – il cui “campione” in carica è l’ex romanista Patrick Schick – nella sua cruda schiettezza, si propone di eleggere il giocatore straniero più deludente dell’intera Serie A. E per farlo, come ormai da tradizione, il portale Calciobidoni.it si affida alle storiche partnership, che lo affiancano in perfetta sinergia: il sito di riferimento Fantacalcio.it, la rivista di sport più antica del mondo, il Guerin Sportivo, e quella presente in Edicola da oltre vent’anni, Calcio 2000 (fondata da Marino Bartoletti). Senza dimenticare il web con i Delinquenti prestati al mondo del Pallone e una rilevante novità: la Redazione del Blog Calcio Gourmet.
LA GIURIA –
A scegliere i nomi dei Candidati finali sono, come sempre, giornalisti sportivi e personaggi del mondo dello sport: tra conferme e nuovi volti, ringraziamo per la selezione operata Gianmaria Borgonovo (Direttore di Calcio Gourmet), Carmine Cassandra (Direttore Editoriale Fantacalcio.it), Vittoria Castagnotto (Conduttrice presso 7 Gold), Andrea Curreli (Tiscali Notizie), Alfredo De Vuono (Fantacalcio.it), Giuseppe Leanza (Scatto.org), Darwin Pastorin, Matteo Politanò (Il Secolo XIX), Fabrizio Ponciroli (Direttore Calcio 2000), Fabiola Rieti (Roma TV), Roberto Sabatino (Elevens Sport). Come al solito, a coordinare il tutto, il Blogger e Scrittore Cristian Vitali, di cui è da poco uscita la sua ultima fatica letteraria, «UndiciMetri. Storie di Rigore», disponibile nei principali store online (tra cui Amazon, Feltrinelli e Mondadori).
I CANDIDATI –
Peculiarità della “Flop Ten” di quest’anno è l’assoluto equilibrio di giocatori rappresentativi dei principali club del nostro campionato di Serie A: due a testa per Juventus, Inter, Milan, Roma e Napoli. Un equilibrio che ha quasi dell’incredibile. I Candidati, in ordine alfabetico, sono i seguenti:
BIGLIA (Milan), ERIKSEN e LAZARO (Inter), LLORENTE e LOZANO (Napoli), PAQUETÀ (Milan), PASTORE e PAU LOPEZ (Roma), RABIOT e RAMSEY (Juventus).
Si tratta di nomi quasi tutti inediti (fatta eccezione per Pastore, Candidato anche nel 2019).
VOTA E FAI VOTARE –
Esprimete la vostra preferenza, scegliendo tra le varie opzioni disponibili: oltre che tramite i nostri Social (Facebook, Twitter e Instagram, è possibile votare attraverso il nostro sito Calciobidoni.it, nonché da quelli del Guerin Sportivo, Fantacalcio.it, Delinquenti del Pallone e Calcio Gourmet! E come da tradizione, potete anche giocarvi il “Jolly”: oltre a comunicarci la vostra preferenza, potete suggerire un ulteriore calciatore straniero non presente nella “Flop Ten”, dando così libero sfogo al vostro pensiero citando un giocatore che è rimasto escluso dai finalisti selezionati dalla Giuria. Colui che riceverà il maggior numero di segnalazioni sarà il successore del polacco Krzysztof Piatek, cannoniere a pieno regime nel Girone di Andata al Genoa, ma dalle polveri bagnate in quello dell’anno seguente al Milan: per lui, in vero e proprio “Girone d’Inferno”.
Chiudiamo la presentazione del sondaggio con due parole sull’“involontario testimonial” che abbiamo scelto quest’anno nella Locandina: possiamo dire di aver avuto scelta facile, quasi obbligata, viste le vicissitudini, non solo calcistiche, dell’ultima annata di Mario Balotelli che, forse alla sua ultima, vera occasione per rilanciarsi (peraltro a casa sua, nel Brescia), ha “toppato” clamorosamente. Come ciliegina sulla torta la sua infelice uscita contro la fidanzata, trash e veramente grezza, in televisione. Invitandovi a votare a suon di clic sul nostro Blog e su quelli dei partner, vi diamo, come sempre, appuntamento a Gennaio per i risultati del Premio, che vedrà il peggior straniero del 2020 proclamato quale nuovo Calciobidone in carica. Abbiamo cercato di essere ironici anche in questo pessimo clima determinato dalla pandemia, scegliendo come sottotitolo “Molte maschere, pochi volti”, una scherzosa citazione delle mascherine che oggi contraddistinguono il look di tutti, ma anche una perfetta trasposizione allegorica del sondaggio, per certi versi pirandelliano, poiché vede tanti giocatori giunti con roboanti proclami ma che, in realtà, mentono sapendo di mentire. Una “maschera” di successo (o mascherina, che è tanto d’attualità) sotto cui, spesso, si nascondono “flop” clamorosi.
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Il Video Ufficiale del Calciobidone 2020
La «Flop Ten»: i Candidati al Calciobidone 2020
In rigoroso ordine alfabetico, ecco a voi i Profili della “Flop Ten”, composta dai 10 Candidati al titolo, appositamente selezionati dalla Giuria. I testi sono stati redatti dalla Redazione di Calcio Gourmet e da Cristian Vitali: le relative descrizioni saranno utili agli utenti per capire le principali motivazioni che hanno portato alla loro scelta.
BIGLIA (Milan)
«Volevo a tutti i costi questo progetto. Ho scelto il 21, è un sogno portare il numero di un grandissimo campione come Pirlo»
I tifosi milanisti, ascoltando il suo «Ho scelto il numero di Andrea Pirlo», hanno fatto tutti gli scongiuri del caso, visti i precedenti ben poco incoraggianti. Basti pensare alla 13 di Nesta, indossata da Acerbi nella sua sfortunata esperienza rossonera, o alla ormai celebre “maledizione della numero 9” che è ancora legata ad un certo Pippo Inzaghi: dopo di lui, il nulla. Se si aggiunge poi il “Forza Lazio” con cui ha salutato i suoi nuovi tifosi davanti ai cancelli di Milanello, la frittata è fatta. Il Lucas Biglia milanista è stato un lontano parente del metronomo di centrocampo in versione “aquilotta”, capace di raggiungere con l’Albiceleste le finali di Copa América 2015 e Centenario ma, soprattutto, la finale dei Mondiali 2014 in Brasile. Tutte, purtroppo, perse. Arrivato grazie o, con il senno di poi, a causa della famigerata coppia Fassone-Mirabelli per un esborso di 40 milioni, si è rivelato un giocatore lento, bolso e perennemente fuori condizione per i troppi problemi fisici che ne hanno minato il rendimento e impedito che scattasse la scintilla con la tifoseria. Unico acuto, per così dire, una lite in panchina con Franck Kessié durante un derby. Si sperava che le cose migliorassero con l’arrivo in panca di Pioli, suo mentore alla Lazio, ma prima il bicipite femorale e poi il ginocchio hanno sancito che non era proprio cosa. Se n’è andato, senza proclami, al Fatih Karagümrük, squadra del comune metropolitano di Istanbul, neopromossa in Süper Lig. Caso vuole che i colori sociali dei turchi siano il rosso e il nero: una persecuzione, per il povero Principito.
SWAROVSKI.
ERIKSEN (Inter)
«Non vedevo l’ora di arrivare, essere qui è bellissimo e sono felice di essere un nuovo giocatore dell’Inter. Sono molto emozionato e non vedo l’ora di farmi conoscere dai tifosi, ho già avuto modo di sentire il loro calore, è stata un’accoglienza fantastica. Mi sento benissimo»
Diventare un top player in Premier League significa automaticamente entrare nel gotha del calcio e conquistarsi l’interesse dei migliori club europei. Se poi uno di questi calciatori si avvicina alla fine del contratto e non sembra disposto a rinnovarlo, l’interesse di un club ambizioso come l’Inter è facilmente prevedibile. Fu così che a Gennaio 2020 i nerazzurri riuscirono ad assicurarsi (per 27 milioni di Euro) le performance di Christian Eriksen, talentuoso trequartista del Tottenham, finalista uscente di Champions League: un prezzo alto per un giocatore in scadenza di contratto da lì a pochi mesi, ma nel complesso un buon affare visto lo spessore internazionale del danese. Tuttavia Eriksen, un giocatore elegante propenso al gioco offensivo, non era stato richiesto da mister Conte, che avrebbe invece voluto un incursore come Vidal (per poi ottenerlo), uno insomma abituato alla “guerrilla” a centrocampo. E’ un eufemismo affermare che Conte non è stato propriamente convinto dal danese, visto che la sua richiesta di un “Rambo” armato fino ai denti è stata esaudita con l’acquisto di un “fiorettista”. Da qui l’equivoco tattico e attitudinale, che ha caratterizzato l’Inter del 2020. In più, il danese non è partito bene in nerazzurro, e quindi per lui ci sono state tante panchine e pochi gol, in un’esperienza finora amara e poco convincente. Per tutti, Eriksen in questa annata è una matassa difficile da districare.
IRRISOLTO.
LAZARO (Inter)
«“No tricks, just me” (Nessun trucco, solo io)»
L’Inter passa da Spalletti a Conte, cambia drasticamente il sistema di gioco, via il 4-2-3-1 e spazio al 3-5-2, con il gioco degli esterni “tutta fascia” ora in evidenza. Piero Ausilio si mette subito alla ricerca del profilo giusto per consegnare a Conte un giocatore di talento: dall’Hertha Berlino arriva Lazaro, considerato esperto e propositivo in quel ruolo. Pronti via, ma il buon Valentino si infortuna e non può essere provato nel precampionato: Candreva si prende il posto e lo manterrà per tutta la stagione. Anche al ritorno dall’infortunio l’austriaco (che di teutonico ha ben poco) non riesce a imporsi: le volte che viene impiegato non lascia il segno, gioca complessivamente 11 gare e solo contro il Bologna sembra essere il giocatore che serve all’Inter. A Gennaio – senza che nessuno faccia barricate per tenerlo – viene ceduto al Newcastle. Eppure, le premesse erano più che buone: l’idolo del giocatore austriaco è Ronaldinho e nella sua esperienza all’Hertha e in quella precedente al Red Bull Salisburgo aveva messo in luce le sue qualità tecniche da velocista palla al piede, di dribbling nello stretto e di elevata sensibilità tecnica nei piedi. Peccato che tutte queste qualità siano rimaste, dimenticate chissà dove, una volta lasciata la Germania.
CATALETTICO.
LLORENTE (Napoli)
«Ho aspettato tre mesi il Napoli perché è una grandissima squadra, la seconda in Italia in questi ultimi anni, avevo tanta voglia di tornare in Serie A e giocare la Champions League»
Quando sei bello, la vita è decisamente più facile: se poi la squadra in cui giochi arriva a sorpresa in una finale anche grazie ai tuoi gol, nemmeno l’età avanzata è un ostacolo per trovare una sistemazione di alto livello. Fernando Llorente è il giocatore ideale che risponde a questo identikit: da bomber di riserva (di Harry Kane) è riuscito a trascinare il Tottenham alla finale di Champions, salvo poi trovarsi svincolato a fine anno. Una lunga trattativa estiva porta Fernando a Napoli, squadra ammaliante che gli consente di tornare in Serie A quattro anni dopo la fine della storia con la Juventus. Lo spagnolo accetta il ruolo di comprimario, diventando la punta alta di riserva di una squadra a trazione anteriore, ma con qualche difficoltà nello spogliatoio. Il malcontento di giocatori come Allan e Insigne sfocia in un duro confronto con la proprietà e a farne le spese è Ancelotti, reo di non essere riuscito a gestire lo spogliatoio in un momento difficile. Il tecnico schiera spesso Fernando, e volentieri solo per brevi spezzoni di gara. L’arrivo di Gattuso lo relega alla panchina e dopo il lockdown un non meglio precisato infortunio lo porta ad un’inesorabile esclusione dall’orbita del calcio che conta. Nonostante l’interesse del Benevento e di qualche timido sondaggio da parte dello Spezia, Llorente rimane a Napoli anche dopo l’estate, diventando un caso. Una bella gatta da pelare per Gattuso, mentre la carriera del bel Fernando rischia di imbruttirsi a causa di un brutto, bruttissimo 2020.
IMBRUTTITO.
LOZANO (Napoli)
«Ho segnato sempre al debutto, sarebbe bellissimo ripetermi, ma la cosa importante è vincere la partita»
Lozano arriva dopo due eccellenti stagioni in Olanda col PSV, la prima culminata con la vittoria dell’Eredivisie. È un ragazzo che non si fa tradire dall’emozione, anzi: gol all’esordio con il Pachuca, gol all’esordio col PSV, gol contro la Germania campione in carica ai Mondiali. E sarà così anche al debutto con il Napoli in Serie A. Era il 31 agosto 2019, Lozano subentra a Insigne nella partita contro la Juve che conduceva per 3 a 0: proprio il messicano segna il momentaneo 3-2, prima che la rimonta si completi e Koulibaly all’ultimo minuto con un autogol conferisca la vittoria alla Juve. Sembrava un ottimo inizio, ma per ora non si è confermato: in azzurro fino ad oggi non è riuscito a mettere in mostra le doti che lo caratterizzano, la velocità e l’imprevedibilità. Insomma, una stagione deludente che neanche il cambio in panchina ha dato i risultati sperati. Un inizio di fuoco, subito in gol contro la rivale di sempre per poi perdersi in panchina, superato nelle gerarchie anche dall’ultimo arrivato Politano. Per certi versi, ricorda un certo Datolo, che segnò la sua unica rete con il Napoli proprio contro la Juventus (anche se non al debutto). Gattuso ha deciso di tenerlo e di puntarci anche per la stagione in corso, e i risultati per ora sembrano decisamente migliori. Ai posteri l’ardua sentenza.
FLASH.
PAQUETA’ (Milan)
«Il Milan per me significa la mia nuova casa. Spero di essere sempre molto felice qua e per questo darò sempre il mio massimo per vincere con questa squadra storica»
Il suo arrivo dal Flamengo nel mercato di riparazione 2019 era stato anticipato dal solito e scomodo paragone con un altro (grande) brasiliano: Kaká, vero idolo delle masse rossonere. Le analogie con il Pallone d’Oro 2007, però, si fermano al fatto che, per entrambi, Leonardo abbia imbastito la trattativa e alla capigliatura approssimativa e rivedibile con cui si è presentato a Casa Milan. Per il resto, dopo i primi sei mesi indubbiamente positivi, durante i quali ha fatto vedere a tratti le sue qualità nel dribbling e nella visione di gioco, ha sempre dato l’impressione di essere un giocatore a cui “gliene manca sempre uno per fare trentuno”. Slalom abbacinanti che perdevano di efficacia per un banale passaggio sbagliato o per un disimpegno scolastico, accompagnati da una certa indolenza. Probabilmente i suoi mezzi fisici limitati e il tatticismo esasperato della Serie A ne hanno rallentato l’adattamento, perdendo via via sempre più convinzione ed entusiasmo. Fattori fondamentali per un brasiliano, tanto che iniziano a circolare voci di una classica “Saudade do Brasil”, che ne mettono già in dubbio la permanenza al Diavolo a Gennaio 2020. Il post lockdown sarà solo un collezionare scampoli di partita, peraltro quasi tutti da subentrante, senza mai incidere: il suo ruolino dell’esperienza in rossonero, infatti, recita un totale di 37 presenze e una sola marcatura. Troppo poco per un trequartista, arrivato come il nuovo Kaká. La sua cessione ai francesi del Lione è stata quasi doverosa da parte della società, consapevole di cercare di rientrare della somma versata per il suo acquisto e per evitare che il giocatore entri in un loop negativo.
FRAGILE.
PASTORE (Roma)
«Tornerò il Flaco che avete conosciuto al Palermo. Non sono venuto qui in vacanza ma per vincere»
Javier Pastore detto “El Flaco”, oriundo dalle origini piemontesi, è un giocatore dal curriculum di tutto rispetto, ma ormai caduto in disgrazia, soprattutto a causa dei continui infortuni, i quali gli hanno peraltro messo a rischio il posto in rosa (anche) quest’anno. Pericolo tuttavia scongiurato: l’operazione cui è stato sottoposto è andata bene ed il lauto stipendio pare salvo. Ma se ai tempi di Parigi si parlava di Pastore-Mania, nella Capitale si può accennare a una Pastore-Abulìa. Dalle parti di Trigoria, infatti, stanno ancora aspettando una fiammata dei tempi francesi o finanche siciliani (non è un caso che si è “guadagnato” la seconda candidatura consecutiva al Calciobidone): forse per questo lo vedremo tornare prematuramente a casa, una suggestione a cui si è accennato al popolare programma El Show En La Red. “Ho trent’anni e posso dare ancora molto alla Roma”, così il nostro in diretta Skype. Non ci è però parso molto energico neppure negli ultimi tempi: e in effetti, Flaco in argentino è un appellativo di vezzeggio, vagamente traducibile come ragazzo, “regazzì”, per dirlo in dialetto romanesco. Però il significato spagnolo è più quello di “magro”, un po’ patito. Ma vien da dire, più che flaco, decisamente fiacco. Appunto.
FIACCO.
PAU LOPEZ (Roma)
«Alisson è stato un portiere molto importante a Roma e è uno dei migliori del mondo, ma non mi piacciono i paragoni. Io sono Pau e sono qui per scrivere la mia storia personale. Spero sia una bella storia e i tifosi possano essere orgogliosi di me»
Nella città eterna diventare un campione apprezzato dal pubblico giallorosso è difficile più che altrove, ma quando un calciatore riesce in questo compito è inevitabilmente destinato alla gloria definitiva. Si pensi a gente come Falcao, Giannini e Totti, ma più recentemente anche un altro portiere ha dimostrato di meritarsi l’Olimpo romano, nonostante la breve militanza nel club capitolino: il brasiliano Alisson. Dopo di lui (ma anche prima...), la Roma ha visto alternarsi diversi estremi difensori stranieri di scarso rendimento, ma dal lauto ingaggio: tra questi, Olsen e Pau Lopez. Quest’ultimo, in particolare (pagato ben 23 milioni, cifra che lo rende il portiere più costoso della storia del club capitolino, superando il record di Ivan Pelizzoli), prometteva bene nelle sue prime apparizioni in maglia giallorossa, ma ben presto i tifosi romanisti si resero conto che il nuovo portiere sarebbe stato l’ennesimo flop. Lopez ha raggiunto il punto più basso della sua esperienza capitolina durante il derby contro la Lazio, in cui una sua sciagurata smanacciata tolse il pallone da una tranquilla rimessa dal fondo per regalare, a conti fatti, il pareggio di Acerbi. Un errore madornale, che ha portato i brividi sulla schiena a molti tifosi, memori di un certo Goicoechea... E fu così che il suo secondo, l’anziano Mirante (classe 1985) lo ha facilmente scavalcato nelle gerarchie (esattamente come successe con Olsen). Probabile una sua partenza, di certo non verso un’altra meta italiana, in quanto in Serie A i portieri che commettono papere come la sua (in un derby, peraltro) non vengono assolutamente perdonati. E dopo tutti i soldi versati dalla Roma all’Espanyol, i tifosi si sarebbero aspettati un rendimento decisamente di altro genere. È forse stata la Grande Bellezza di Roma ad aver avuto un effetto disorientante su Pau Lopez?
SPAESATO.
RABIOT (Juventus)
«Il mio rapporto con mia madre? Mia madre è il mio agente e mi ha aiuta molto nella mia professione. Lavoriamo molto bene insieme. Ma anche a livello personale, ovviamente, perché è mia madre»
Da quando lo sceicco è arrivato a Parigi, il Paris Saint Germain non ha smesso di vincere titoli, ingaggiando campioni a peso d’oro. Nonostante la presenza ingombrante di Neymar, Di Maria e Mbappé, alcuni giovani francesi sono riusciti a non passare inosservati: tra questi, Adrien Rabiot è l’esempio più fulgido. Centrocampista dotato di un ottimo fisico, è stato per anni titolare quasi inamovibile dei pluricampioni francesi, fin quando la presenza di un’agente troppo ingombrante (la madre Veronique) lo ha convinto a non rinnovare il contratto, con destinazione Juventus. A Torino l’ambientamento non sembra difficile, grazie alla presenza di un ex compagno di squadra come Matuidi; ma se non conosci l’allenatore e se non ci hai mai parlato prima, beh la questione si complica. L’esperienza non inizia nel migliore dei modi e nei mesi fino al lockdown per il Covid-19, il contributo del francese alla squadra è decisamente deludente. I consigli della mamma durante lo stop primaverile del campionato sembrano però spronarlo al punto giusto, tanto che nel periodo da giugno ad agosto, il contributo di Rabiot è buono, almeno per non essere più considerato uno zombie del centrocampo. L’epurazione di Sarri e la rivoluzione tattica ad opera di Pirlo hanno però minato le deboli convinzioni di Adrien, che tradisce la fiducia del nuovo allenatore giocando male e lasciando la Juventus in dieci in casa della Roma. Un autentico disastro, che sta portando Rabiot sulla strada del lento declino, sempre vicino a Veronique, personaggio tanto simile a Giocasta, la madre di Edipo. Proprio lui, quello del famoso complesso...
COMPLESSATO.
RAMSEY (Juventus)
«Grazie a tutti di essere venuti qui oggi. Vorrei dire quanto sono contento di essere venuto alla Juventus, una delle squadre più grandi al mondo. Scusate il mio italiano, non è molto buono, ma sto studiando»
Aaron Ramsey si è presentato a stampa e tifosi in un italiano stentato: poche parole, ma di spessore, pronunciate da un calciatore abituato a calcare campi importanti, così come lo è il suo ingaggio plurimilionario. Sceglie una maglia pesante, la numero 8, ereditata da Marchisio, uno che alla Vecchia Signora ha mostrato grandi giocate ed un attaccamento alla maglia senza pari. All’Arsenal la visione di gioco e la sua spiccata propensione alle giocate offensive lo hanno reso uno dei giocatori più interessanti della Premier League. A spingerlo alla Juve fu la china negativa intrapresa dalla squadra londinese, pur finalista di Europa League nel 2019 (contro il Chelsea del suo futuro allenatore Sarri), finale che, tra l’altro, lo stesso Ramsey non ha disputato, frenato da uno dei suoi numerosi infortuni muscolari. A Torino i tifosi si aspettavano prestazioni maiuscole e una mezza dozzina di gol, specialmente nelle partite più difficili, ma come spesso capita la realtà si rivela ben diversa: un solo gol “importante” per lui, contro l’Inter, nella partita che sarebbe stata l’ultima del pre-lockdown da Covid-19, a cui sono seguiti mesi ben al di sotto delle aspettative. Prima ancora, un altro paio di reti in campionato ed una fortunosa in Champions League, contro la tenace ma non irresistibile Lokomotiv Mosca. Pur con lo Scudetto in tasca, si è visto solo a sprazzi il suo talento, intervallato a sporadici stop per infortuni e a cronici ritardi di condizione. Per le aspettative che la Juventus nutriva, Ramsey ha fatto decisamente troppo poco. I tifosi si attendevano un nuovo Marchisio, invece hanno praticamente rivisto in lui un certo Ian Rush, suo connazionale, mai partecipe alle iniziative della squadra, poco rimpianto dai tifosi e con una nota di demerito anche in Italiano. Se fosse parente del noto chef Gordon, sarebbe un cuoco da “Cucine da Incubo”.
ISOLATO.
ALBO D’ORO «CALCIOBIDONE» — Periodo dal 2009 al 2019 —