Tutto il peggio del calcio italiano tra equivoci, errori clamorosi e “papere” storiche. Dal 1980 ad oggi.

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— Intervista a Cristian Vitali
«Non comprate quel bidone! Istruzioni per un calciomercato perfetto...»


Un lungo ed esclusivo Editoriale dedicato all’autore del libro “Calciobidoni” (Non comprate quello straniero) edito da Piano B Edizioni


02/07/2010

di Sabine Bertagna

Fcinter1908.it

La Storia del Calcio ne è piena. Nomi esotici, impronunciabili e dall’accento regale accomunati da un elemento: il passaggio sui campi del nostro campionato. Arrivati con un vento di belle speranze. Successivamente disilluse. Calciatori presto irrisi e poi accantonati nel dimenticatoio. Noi siamo andati, in esclusiva per Fcinter1908.it a scovarli insieme a Cristian Vitali, autore del libro “Calciobidoni” (Non comprate quello straniero) edito da Piano B Edizioni, per raccontare le storie di chi non ce l’ha fatta. Di chi comunque ci ha creduto, ha sperato e ci ha provato. Ma allo stesso tempo queste storie raccontano di un calciomercato viziato dall’impulso e dall’emotività. Dalla voglia di trovare a qualsiasi costo il campione di altri tempi e di ripercorrere periodi pieni di gloria e fasti. La Storia insegna? Si direbbe proprio di no, anche se quella recente nerazzurra ha dato esempio di come si possa riparare a certi errori, evitando di cadere in gesti avventati. E comprando con la giusta dose di razionalità. Ma è proprio attraverso la carrellata di questi “bidoni” che insieme all’autore ci accorgiamo di una verità imprescindibile. Il calcio è anche questo. Lontano dalle copertine patinate, nascosti dalla notizia del momento ci sono anche loro: attori mediocri, buffi e goffi che hanno partecipato al grande spettacolo. Colpevoli (insieme a tutti noi) di smaniare per una sola cosa al mondo: un calcio al pallone...

La definizione perfetta di bidone? Zazzaroni fa un distinguo nella prefazione e individua all’interno dei bidoni i brocchi riciclabili, quelli sfigati ma non totalmente pippe, i fenomeni mai sbocciati, quelli che dopo ce l’hanno fatta e quelli arrivati al termine della carriera. Quando la condizione di bidone è veramente irreversibile?

«Per quanto mi riguarda il concetto di “bidone”, che non è assolutamente offensivo, ci tengo a dirlo, è molto ampio, e comprende per l’appunto fallimenti in senso assoluto e in senso relativo. Il “bidone” per me è un affare mancato, una sorta di delusione a doppia mandata. Il momento in cui la personale “condanna” viene firmata avviene sempre quando il giocatore in questione non cerca la prova d’appello e lascia l’Italia. Quaresma, tanto per fare un esempio recente, a mio avviso aveva già da tempo il destino segnato, ma la sua presenza nella rosa dell’Inter mi imponeva a credere in una sua redenzione, seppur insperata. Per etica professionale ritengo sia necessario giudicare a cose fatte. Non voglio fare previsioni, ma raccontare con un filo di ironia ciò che è accaduto. Felipe Melo e Huntelaar, se continueranno a rimanere in Italia, in teoria potrebbero ancora imbroccare la strada giusta, anche se obiettivamente sarà difficile. Poi è il tempo a far nascere il “bidone-leggenda”: il tempo è quella variabile che consolida il fascino di certe storie».

Come nelle collezioni di moda anche nel calciomercato ci sono delle tendenze che “tirano”: i brasiliani rappresentano una garanzia e sono intramontabili, argentini e olandesi ricordano grandi campioni provenienti da grandi epoche e poi c’è sempre l’inguaribile speranza di aver scoperto il fuoriclasse del domani. Hai notato in questo senso una tendenza a pescare nell’ambito di una nazionalità piuttosto che in un’altra?

«Certamente. Nessuno come il brasiliano ha saputo affascinare tifosi e dirigenti, in particolar modo negli anni 80. Ma il calcio è particolare proprio perché in continua evoluzione, e risente delle mode del momento, anche se lo stereotipo del brasiliano tutto samba e dribbling non tramonta mai. In Italia c’è la tendenza ha acquistare chi fa bella figura contro di noi. Quante volte è capitato che nelle Coppe europee il Dugarry di turno gioca la gara della vita contro il Milan e poi l’anno seguente va a finire dritto drittoa Milanello? Mi piace ricordare il debole di Scoglio per i tunisini, di Dal Cin per i nigeriani alla Reggiana dopo che le “Aquile” vinsero l’Oro ad Atlanta, del Bari e del Milan di tanti anni fa verso gli svedesi. E’ pur vero che c’è stato anche il Milan degli olandesi, ma non bisogna fare di un’erba un fascio. Se c’è stato un florido periodo in cui giocatori di una certa nazionalità erano davvero fantastici, non vuol dire che lo siano anche in futuro. E infatti in rossonero devono ancora riprendersi dallo scotto dell’orange-bis, con Reiziger, Bogarde e Kluivert che tutti preferiamo dimenticare. E lì subentro io, vado controcorrente andando a ripescare le storie di questi reietti il cui ricordo viene presto cancellato. Le loro disavventure possono servire da monito per il futuro».

Dove pende l’errore: nell’emotività di chi acquista, trascinato dal desiderio di ripercorrere annate e vittorie storiche, o nella “malafede” di chi fa il mercato e ha necessità di promuovere i potenziali campioni ad ogni costo?

«Secondo me il mercato dello scambio di giocatori è da considerarsi come un vero e proprio mercato di paese dove si trova gente di ogni genere e specie: c’è il commerciante onesto che ha prodotti di qualità, c’è quello che ti propina merce scadente, c’è il cinese che offre monili particolari, c’è quello che ti fa lo sconto. Alla stessa maniera nelle trattative tra i vari club ci sono personaggi seri e mediatori che “hanno le mani in pasta dappertutto”. C’è chi fa buoni affari, chi l’affare lo fa perché si libera di una patata bollente a discapito altrui, chi si accorda con reciproca soddisfazione delle parti. Molti arrivano addirittura a darsi la zappa sui piedi, magari per orgoglio o presunzione. Fa parte del gioco».

Perché secondo te si comprano così tanti stranieri?

«Perché l’esterofilia è diventata nel tempo una vera e propria moda, un fenomeno ormai radicato nel nostro costume, come succede in campo automobilistico. Gli italiani comprano soprattutto Ford, BMW, Mercedes, e quasi snobbano Lancia e Alfa, perché le tedesche hanno un’immagine migliore, anche se nella realtà dei fatti, a mio parere, non c’è tutto questo abisso. Vale la pena di acquistare per 30mila euro una BMW, quando a 20mila puoi benissimo prenderti un’Alfa? Ok, avrà qualcosina di meglio, ma il gioco non vale la candela. Secondo voi, vale la pena di acquistare un Huntelaar a 15 milioni di Euro quando hai la possibilità di allevarti in casa, e senza quasi spendere, gente come Borriello e Paloschi? A parer mio, meglio quest’ultimi, anche perché così proteggiamo “il nostro prodotto”, se così si può dire».

Il 16 gennaio 2010 la classifica pubblicata sul sito calciobidoni.it regalava la palma del calciobidone 2009 alla Trivela Quaresma, forse l’unico vero neo dell’era Mourinhiana, seguito al secondo posto a pari merito da Huntelaar e Felipe Melo. Seguivano Amantino Mancini (che nel frattempo è passato ai cugini rossoneri), Tiago e Diego. Quanto l’essere bidone dipende dall’andamento della squadra (e qui mi riferisco per esempio a Diego nella Juventus)?

«Ovviamente incide molto il rendimento della squadra, è una componente importante, ma ci sono stati parecchi casi di flop capitati in formazioni quasi perfette. Citando Henry alla Juventus, nel suo caso subentrarono ragioni di collocazioni tattica. Nel caso di Diego può anche essere vero il contrario: quando lui faceva girare la squadra, e mi riferisco ad inizio stagione, basti pensare la superba gara dell’Olimpico contro la Roma, la Juve era concreta. Ma poi, eclissatosi quasi immediatamente, i bianconeri sono crollati. Su di lui erano riposte parecchie aspettative, purtroppo disilluse».

A guardare la nazionale azzurra reduce dall’eliminazione dai Mondiali verrebbe quasi da dire: i bidoni siamo noi. Che cosa è successo al calcio di casa nostra?

«Mi vien da ridere ripensando al titolo apparso nella prima pagina di “Libero”, all’indomani della clamorosa eliminazione: “Bidoni del Mondo”. E’ un po’ chiassoso, forse, ma rende perfettamente l’idea di come siamo messi a livello calcistico. Lippi ha fatto molti errori, è facile criticarlo, ma è pur vero che con lui abbiamo anche vinto quattro anni fa. E qui sta l’errore: rifarsi al passato. Io dico sempre che è più facile confermarsi piuttosto che vincere, è più difficile restare in alto che arrivarci. Gente come Cannavaro, Camoranesi, Iaquinta non era da convocare, ma perché ci sono giocatori ben più giovani e in forma migliore. Lippi ha puntato sui suoi scudieri, e non è l’unico ad orientarsi così. In Italia si preferisce l’usato sicuro, se così si può dire, ma è arrivato il momento di puntare sui giovani, anche a costo di imporli. Bisogna credere e investire di più, perché si arriva a risparmi considerevoli, in prospettiva. Pensate ai vivai dello United, dell’Arsenal o del Liverpool ad esempio. Veri serbatoi di talento che poi noi andiamo a saccheggiare pagandoli però a peso d’oro, dopo che hanno dato il meglio di sé nella rispettiva patria calcistica».

Ti viene in mente un giocatore italiano che all’estero si è rivelato un grosso “bidone”?

«Istintivamente ricordo Massimo Taibi al Manchester, che addirittura in Inghilterra è stato nominato in un recente sondaggio il peggior calciatore mai visto nella Premier. Sempre esagerati, questi inglesi. E lui è la dimostrazione del “bidone” occasionale, ma pur sempre bidone: è stato un grande all’Atalanta, alla Reggina dove fece pure gol, al Piacenza… Ma in Inghilterra, pur se massacrato da tutti, andò davvero male. E i tabloid inglesi sono spietati».

Oltre ai bidoni che ci si mette in casa c’è anche lo spauracchio delle cessioni eclatanti. Quelle che appena il giocatore veste la maglia di un’altra squadra fa faville. Non è un mercato troppo emotivo questo? Quanto influiscono i tifosi sugli acquisti e sull’allontanamento dei “bidoni”?

«Si, decisamente, ormai le bandiere non esistono più. Basti pensare a Kakà: al Milan ci fu una rivolta contro la sua cessione, lui si affacciò sorridente dalla finestra, come il Papa, e disse non avrebbe lasciato Milano. E invece poi l’anno seguente avviene puntualmente la sua dipartita, sempre sulla scia del dio denaro. E’ un peccato, perché non ti puoi più fidare di nessuno. I tifosi dicono la loro, e possono incidere, se si mettono tutti d’accordo. Nel 95 un grande sit-in convinse Cragnotti a non cedere Signori al Parma. Quest’anno il ritorno di Quaresma è stato osteggiatissimo, a San Siro ogni volta che toccava palla veniva sonoramente fischiato. E se hai contro la piazza, è meglio cambiare aria, il clima è fondamentale. San Siro poi, è eccezionale ma spaventoso al tempo stesso: è impressionante già da spettatore, figuriamoci in campo. Molti giocatori non hanno sopportato la pressione, ti senti piccolo così solo a vedere il muro di gente che ti guarda. Figuriamoci se ti fischia e ti inveisce contro!».

Oltre a divertenti aneddoti e mogli affascinanti che cosa lasciano nella memoria dei tifosi i “bidoni” di questo libro?

«Lasciano il ricordo di un calcio d’altri tempi, di un calcio che esce dai grandi palcoscenici dove tutto è perfetto, vincente, scintillante. Qui si parla di uomini semplici, che non sono riusciti in quella che è comunque un’impresa, ma almeno ci hanno provato. Anche se hanno fallito, è divertente ricordare storie che escono dal coro, che lasciano le copertine ammiccanti dei giornali che raccontano sempre il bello, per dar spazio alle disavventure di mediocri attori che non hanno calcato il palcoscenico da protagonisti, ma che hanno comunque partecipato al grande spettacolo. Lasciano un sorriso, fanno parte anche loro della nostra storia, pur con tutte le attenuanti possibili. E in un calcio d’oggi fin troppo avvelenato, è bello tirar fuori qualcosa di particolare, che magari al solo pensiero fa arrabbiare, ma anche strappare un sorriso».

Esiste la possibilità che le società non incappino più in acquisti sbagliati?

«Mi sento di dire che sia matematicamente impossibile. Posto che la perfezione non esiste, si può solo cercare di ridurre al minimo i margini di errore, come ha fatto di recente l’Inter di Moratti. Dal 1995 al 2004 ha fatto davvero incetta di giocatori presi così, al volo, senza una programmazione ben precisa, un po’ come fece Pellegrini con Aaltonen. Ci ha segnato, mi piace, lo voglio. Ma sempre l’Inter è la dimostrazione che dopo anni di sonore bastonate, è riuscita a correggere il tiro e a rimettersi in carreggiata. Dopo anni di insuccessi, adesso le cose vanno meglio, tuttavia, nel mezzo dei tanti campioni, qualche nota stonata capita sempre. Vedi Quaresma, tanto che siamo in tema. Come disse il mio amico Gianluca Orefice della Gazzetta, forse non nascerà mai più un altro Maradona, mentre i bidoni sono inesauribili».

C’è una squadra che ha battuto le altre nell’acquisto di bidoni? Alla quale, per esempio, regalare il tuo libro?

«Istintivamente vien da pensare sempre all’Inter di Moratti, che ha annoverato davvero tantissime chicche, alcune davvero clamorose. Ma oggi, il patron nerazzurro non ne ha più bisogno, sembra che ha capito la lezione, no?».
Ringraziamo Cristian Vitali per la disponibilità e simpatia!


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