Tutto il peggio del calcio italiano tra equivoci, errori clamorosi e “papere” storiche. Dal 1980 ad oggi.
Un premio poco ambito per reagire alla crisi di talenti
21/08/2012
di Cristian Vitali
Con la crisi, i tempi cambiano. Una volta, a tenere banco erano solo i più bravi: erano davvero tanti e c’era prosperità, portatrice sana di ottimismo. Oggi i migliori non ci sono più, domina incontrastata la mediocrità, anticamera del pessimismo. La Fiat deteneva più del 60% del mercato nazionale: oggi, e per il rotto della cuffia, è scesa al 30. Una volta, il diesel era intorno ad un Euro al litro: oggi, supera abbondantemente l’euro e mezzo. Una volta c’erano tanti piccoli negozianti, ognuno di noi aveva quello “di fiducia”. C’era grande professionalità e tutti vendevano, bastava rimboccarsi le maniche. Oggi c’è la grande distribuzione, la qualità e il servizio sono scemati di brutto, ma pure il prezzo, e questo conta: il confronto non può reggere. Una volta c’erano gli agognati tremilionialmese, ed erano davvero tanti. Oggi con millecinquecentoeuri netti ci campi a malapena. Una volta c’erano Maradona, Socrates, Matthaus, Platini, Zico, Falcao, e tanti altri, tutti insieme: c’era solo l’imbarazzo della scelta. Oggi chi c’è? Messi? Sneijder? Va bene, ma forse sono rimasti gli unici a predicare nel deserto.
Potremmo andar avanti all’infinito, ma la sostanza è sempre la stessa. I migliori non ci sono più, il livello qualitativo e il tasso tecnico dei calciatori è calato vistosamente. E il rovescio della medaglia è inevitabile: se prima i campioni erano tanti, per logica conseguenza i brocchi scarseggiavano. Di stranieri in Serie A se ne contavano pochissimi. Nel 1980 erano una decina. In tutto, una miseria: di scarsi due, forse tre.
Luis Silvio Danuello, sempre lui. Gli fischieranno le orecchie, poveraccio. Ma lo fu di più Eneas De Camargo, pace all’anima sua. E poi? Basta, finiva lì. E oggi? Se n’è perso il conto. Il Catania si è specializzato in argentini, tant’è che i rossoazzurri sono stati ribattezzati “segunda seleccìon”. Gli ultimi scudetti nerazzurri sono stati ferocemente criticati, proprio perché c’erano (e ci sono) più stranieri che italiani. La squadra ha fatto fede al suo nome: “Internazionale”, e non Nazionale.
Per fortuna quella c’è ancora, anche se è inflazionata dagli oriundi del nuovo millennio, gli “italiani” Camoranesi, Ledesma, Amauri tiramolla (ieri verdeoro, oggi azzurri, domani ancora verdeoro, dopodomani di nuovo azzurri). Ultimi in ordine di tempo, Thiago Motta e Balotelli. Se loro sono italiani, allora io posso diventare il nuovo Adriano. Come peso, penso, siamo lì: la classe non è acqua.
Sembrano passati anni luce da quando la Serie A faceva incetta dei prestigiosi premi degli anni che furono, quando era la Regina indiscussa dei massimi campionati di calcio, mentre adesso zoppetta mestamente e male in arnese dietro ad Inghilterra, Francia, Spagna e Germania. Ci manca solo che pure il campionato svizzero ci sorpassi e possiamo anche chiudere bottega.
La crisi c’è, viviamo in una fase di profonda recessione. E in tempi di magra, tocca chiudere i rubinetti. Una volta c’erano gli Oscar. Ci sono ancora oggi, ma passano in secondo piano: il Telegatto si è svalutato, chi lo vuole più? Ma soprattutto: chi se lo merita? I reality oggi tanto in voga? Bah, stendiamo un velo pietoso: Mike Buongiorno, Corrado e Raimondo Vianello si rivolterebbero nella tomba.
Nel cinema ci sono i Razzies Awars (che in inglese significa “spernacchiare”), una statuetta che premia attori e film, ma quelli inguardabili. Va da sé che da noi tiene banco il Cinemattone, omologo riconoscimento al peggio del cinema italiano. E mentre l’Italia del rugby si appresta a “conquistare” l’ennesimo cucchiaio di legno, il Pallone d’Oro, a causa della crisi incessante, ha dovuto unire le forze con l’acerrimo rivale “Fifa World Player”: da soli non ce la facevano più, adesso i due riconoscimenti si sono fusi in un unico premio. L’unione fa la forza, soprattutto in tempi di vacche magre.
Non a caso ora fa più notizia il “Bidone d’Oro”, che lo scorso anno è andato al romanista Adriano: mai riconoscimento fu più azzeccato. E in questo contesto ci sguazza alla perfezione anche il “Calciobidone”, originale riconoscimento che non si dimentica del brasiliano in sovrappeso, ma preferisce premiare Ricardo Quaresma, un flop unico, originale, la pecora nera di una famiglia di vincenti: l’unica vera presunzione di Mourinho. Ecco perché il Calciobidone vuole assurgere dall’anonimato assumendo un ruolo preminente: nasce in tempi di crisi, perché è figlio stesso della recessione, arriva dal nulla carico di ideali, dimostrandosi combattivo e spietato per stimolare l’Italia del pallone a rimboccarsi le maniche. Prefiggendosi, nel suo piccolo, di riuscire a migliorare il calcio tricolore punzecchiando chi potrebbe dare di più, focalizzando le attenzioni agli interpreti peggiori. Ci riusciremo? Questo non è dato saperlo, ma le intenzioni ci sono tutte. Basta un voto, una mail, un SMS per partecipare alla votazione che si tiene ogni Dicembre. Quantomeno, per contribuire ad alimentare questa seppur flebile fiammella di speranza.
Nella vita l’importante è crederci, sposare un ideale e portarlo avanti fino in fondo, nonostante le avversità e le intemperie. Io l’ho fatto, prima con Calciobidoni e poi con il Calciobidone. E le stesse regole valgono nella vita come nel calcio. Adriano, per esempio, continua ad andare “a tutta birra”, mentre Quaresma, con la sua trivela, pare crederci ancora.
Del resto, quel che conta non è il risultato nel breve termine, non si può avere tutto e subito: per quello, c’è bisogno di tempo. La strada per centrare l’obiettivo è lunga e tortuosa, e sarà vincente solamente se perseguita con determinazione, ostinazione, caparbietà e tenacia: è questo il duro cammino che la cruda realtà odierna ci impone per costruire in futuro un calcio migliore.
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