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Il tributo ad un campione eccentrico, che ci ha lasciato a 57 anni per un’infezione intestinale causata dall’alcool
19/12/2011
di Cristian Vitali
Una vita densa di eccessi. Amava bere molta birra, fumare, discutere di politica oltre ogni immaginazione. Eppure era un medico: classe 1954, Laureato in Medicina, non esercitava la professione, perché preferì incantare le platee palla al piede. Parliamo al passato, perché Socrates Brasileiro Sampaio De Souza Vieira De Oliveira - sopra le righe anche nel nome - è morto la notte del 4 Dicembre all’Ospedale “Albert Einstein” di San Paolo, in Brasile. Aveva 57 anni, e un’infezione intestinale ce lo ha portato via. Un’infezione che è stata solo il colpo di grazia per il fisico debilitato del Doutor (Dottore), uno dei suoi tanti soprannomi, questo dovuto al suo titolo di medico. Socrates, infatti, soffriva da tempo di cirrosi epatica, a causa dalla sua insana passione per birra ed alcool. Negli ultimi tempi il suo quadro clinico era precipitato, con diversi ricoveri d’urgenza nel giro di pochi mesi. L’ultimo a Settembre, per un’emorragia intestinale sempre causata dall’abuso di alcool. Eppure saremmo stati tutti sicuri che ce l’avrebbe fatta ancora, quel vecchio ed indomito guerriero. Come quella volta, nel 2004, quando, a 50 anni suonati, firmò come allenatore-giocatore del Garforth Town, dilettanti inglesi. Una “marchetta”, ma che fece parlare ancora di lui per la sua intraprendenza e la sua voglia di stupire, che lo ha sempre contraddistinto sin dai tempi della “Democracia Corinthiana”. Non era uno che se ne stava zitto, il Dottore, chiamato anche “O’Magrao” per il suo fisico asciutto, accentuato dalla sua notevole altezza. A decidere come impostare la squadra, secondo lui, dovevano essere i giocatori, e non l’allenatore. Una sorta di autogestione, tutti insieme verso un unico traguardo. A Firenze, nella sua unica stagione italiana, non convinse appieno, proprio per la sua tendenza ad uscire dagli schemi e per il suo passo dinoccolato. Lui che fu Capitano della Selecao ai Mondiali del 1982 e del 1986, aveva un look da Che Guevara ed era un personaggio estroso dentro e fuori dal campo, però quando aveva la palla al piede sapeva dove metterla, e quando decideva di usare i suoi funambolici ed imprevedibili colpi di tacco, neanche Maradona poteva tenergli testa. Per questo divenne famoso anche e soprattutto come “Tacco di Dio”. Ci piace immaginare che appena si sia spento sia giunto al cospetto del Signore dei cieli il quale, dopo aver esaminato il suo fascicolo personale, abbia voluto capire perché questo calciatore brasiliano, nella vita terrena, aveva quell’arto, il tacco, umanamente considerato addirittura degno del suo. Già, perché? Perché era capace di giocate celestiali, grazie al talento che Madre Natura ebbe modo di donargli. E chissà come il Dottore se la rideva, sotto i baffi, amareggiato per il trapasso, ma rinfrancato da una sorta di invidia del Creatore per questa sua particolare dote. Del resto, lui che non aveva paura di allenatori e presidenti, e non le mandava certo a dire, con il suo caratterino non avrebbe avuto problemi a prendersi beffe anche del Padreterno. Ecco, ci piace ricordarti così, con quest’immagine goliardica, e perdonaci se qualche volta siamo stati un po’ cattivelli nei tuoi confronti, ma è il nostro lavoro. Addio Socrates, ci mancherai a noi come a tutti i tuoi seguaci, quelli che allo Stadio Pacaembu, prima del derby Corinthians-Palmeiras - che per la squadra di Adriano significa Scudetto - durante il minuto di silenzio in tua memoria, hanno alzato il braccio con il pugno chiuso, il “tuo” gesto, il tuo marchio di fabbrica, come i tuoi improvvisi, geniali e risolutivi colpi di tacco. Tu che hai simpaticamente ispirato anche Aristoteles, l’immaginario brasiliano del cinema calcistico degli anni ottanta. Applausi.
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